#LILIPSY by Fabrizio Di Girolamo
I Sintomi Psicologici del Coronavirus
Le distorsioni cognitive indotte sono alla base della più grande paura del 2020.
Ammettiamolo, l’idea di una Pandemia mondiale che possa sterminare il genere umano ci ha sempre affascinato e ha sempre fatto parte delle fantasie di noi esseri umani: partendo dalle piaghe narrate dalla Bibbia, fino ad arrivare ai più moderni libri/film/serie TV che basano la loro trama su fantasiose catastrofi virali che trasformano l’umanità in zombie.
Una paura tanto affascinante quanto “lontana”, vista spesso come inarrivabile o poco plausibile, rapportabile ad esempio alla paura dei meteoriti o del vento solare. Adesso la paura però è reale: la vera e più grande paura è il Coronavirus.
Ma cos’è il Coronavirus?
I Coronavirus sono una vasta famiglia di virus noti per causare malattie che vanno dal comune raffreddore a malattie più gravi come la Sindrome respiratoria mediorientale (MERS) e la Sindrome respiratoria acuta grave (SARS). Il nuovo Coronavirus (nCoV) è un ceppo di Coronavirus che non era mai stato identificato nell’uomo, fino a dicembre 2019 in Cina.
In realtà, prima di allora, sono state numerosissime le epidemie che hanno allarmato la comunità scientifica, scoppiate in varie parti del mondo anche in tempi relativamente recenti (Ebola, SARS, Aviaria, Suina ecc.). Ma nessuna di queste ha avuto l’impatto mediatico e sociale che sta avendo il Coronavirus in questi mesi, non solo in Italia, ma in tutto il pianeta, a dispetto di un tasso di mortalità e di gravità sintomatologica relativamente modesto.
Perché quindi questa volta dovrebbe essere diverso? Perché il Coronavirus fa così tanta paura? Cosa lo differenzia dalle altre epidemie?
Bene, proverò a dare una risposta da un punto di vista Psicologico, premettendo però che quello del Coronavirus non è un problema da sottovalutare assolutamente e che siamo di fronte comunque ad una situazione tanto complessa quanto delicata.
L’INFLUENZA DEL WEB, DEI MEDIA E DEI SOCIAL-MEDIA
La prima e più banale delle motivazioni. La rapidità con cui si diffondo le informazioni, il bacino di utenti che ne può usufruire, il tutto unito alla quantità di tali informazioni sul web (spesso fake news) sono in assoluto le principali cause della paura verso questa epidemia e dell’impatto che questa paura sta avendo nella vita di tutti i giorni. In passato il web non possedeva un tale potere comunicativo e, prima dell’esistenza dei social e dei giornali online, il traffico di informazioni era molto ridotto e lento.
Al giorno d’oggi invece, i giornali, i siti web, i social, i notiziari e tutti i principali veicoli comunicativi (anche politici) del nuovo millennio sfruttano l’allarmismo e il catastrofismo per fare notizia, ricevere click, commenti, interazione e quindi visibilità. Questo significa anche che le informazioni più ricercate ed assimilate sono proprio quelle che espongono scenari drammatici e catastrofici: tutte le altre informazioni vengono tralasciate e non fanno notizia, quindi si viene a creare una percezione distorta della realtà.
Basti pensare all’utilizzo delle informazioni da parte dei media: “Oltre 2000 i morti di Coronavirus”. Tutto vero, ma nessuno cita gli oltre 79mila casi diagnosticati e le quasi 30mila guarigioni (dati aggiornati al 23 febbraio 2020). Questo concetto viene definito come “Effetto Framing“, un bias cognitivo che porta a focalizzarsi solo su determinate informazioni, tralasciando le altre (in questo caso ci si focalizza sulle informazioni negative).
I media puntano proprio su questo effetto per indurre l’attenzione dello spettatore, che inconsapevolmente assume una visione distorta della realtà, esacerbata dall’enorme mole di notizie (spesso discordanti tra loro) e di fake news.
Ed è divertente pensare come si punti a creare contenuti “virali” sul web per parlare di un virus. Un concetto sul quale riflettere.
2. L’INTOLLERANZA ALL’INCERTEZZA
Un virus appena scoperto;
Attualmente non si sa con precisione come si trasmette e le attuali conoscenze epidemiologiche (che descrivono una modalità di trasmissione aerea o per “contatto”) presuppongono una grande facilità di contagio;
Non si sa con precisione come questo virus si sia formato, evoluto e mutato;
I sintomi sono subdoli e possono essere riconducibili ad una semplice influenza;
Attualmente non esiste una cura;
Tutti possono essere infetti, anche il tuo vicino di casa che ultimamente tossisce un po’ più spesso;
Molti degli infetti sono asintomatici e possono trasmettere la malattia senza saperlo;
Non abbiamo il minimo controllo sulla minaccia e attualmente le uniche armi a nostra disposizione sono l’igiene e la messa in quarantena.
Questi sono gli ingredienti tipici per un bel calderone di Incertezza. L’incertezza, intesa come incapacità di totale comprensione di un concetto/evento/situazione, se perdura per un lungo periodo diventa “intollerabile” per il nostro sistema cognitivo (che necessita di sicurezza e di certezze, anche false). L’incertezza genera ansia, quindi, di conseguenza, paura.
La prima reazione comportamentale e cognitiva di fronte alla paura è la fuga. Fuggire significa proteggersi, chiudersi, identificare ed allontanare la minaccia, categorizzare in maniera rapida ed efficiente ciò che è pericoloso da ciò che non lo è.
Da queste basi cognitive che modulano il pensiero umano nascono gli atteggiamenti razzisti, ad esempio nei confronti dei cinesi e dei prodotti cinesi, che sono visti come possibili portatori infetti per la sola provenienza geografica. Un ragionamento tanto rapido, poco dispendioso e immediato, quanto errato.
Un’altra spiacevole conseguenza dell’incertezza è il cosiddetto Effetto Dunning-Kruger, ovvero la tendenza di chi è inesperto o incompetente in materia ad esprimere il proprio giudizio su un argomento, autovalutandosi esperto e competente, mettendo in discussione chi invece possiede davvero delle competenze in materia. Sovrastimare le proprie competenze non sarebbe altro che una forma di difesa contro l’incertezza, quindi contro la paura che tale incertezza trascina con sé.
L’odierna incertezza non era presente nel caso di altre forme virali epidemiche affrontate in passato, come ad esempio l’HIV, cui meccanismo di trasmissione specifico, unito ad altrettanti specifici sintomi, permettevano un immediato riconoscimento e, di conseguenza, trasmettevano “sicurezza”. Questa è un’ulteriore differenza degna di nota rispetto al Coronavirus.
3. I BIAS COGNITIVI E LA PERCEZIONE DEL RISCHIO
I Bias Cognitivi sono degli schemi sistematici, illogici e irrazionali che modulano il nostro giudizio e il modo di vedere il mondo.
Fondamentalmente i Bias sono tre:
Disponibilità (più un evento è recente, maggiore sarà il peso che gli diamo);
Rappresentatività (tendenza ad attribuire le stesse caratteristiche a concetti appartenenti alla stessa categoria, senza valutarne le differenze);
Ancoraggio (quando giudichiamo, siamo influenzati dal termine di paragone).
La percezione del rischio è una capacità che coinvolge numerosi processi cognitivi: aspettative sulle conseguenze delle nostre azioni, implicazioni razionali, emotive, motivazionali estrinseche o intrinseche ecc.
La percezione del rischio è anche uno dei processi cognitivi maggiormente soggetto a distorsioni (quindi ai Bias): capita spessissimo infatti che le persone temano enormemente qualcosa che non è rischioso (vedi ad esempio le fobie), o siano indifferenti di fronte al pericolo mortale (vedi gli sport estremi).
Nel caso del Coronavirus la percezione del rischio è stata fortemente influenzata dai fattori precedentemente elencati al punto 1 e 2 (che non sono altro dei Bias Cognitivi indotti), portando ad una valutazione totalmente distorta e poco rappresentativa della realtà. La percezione del rischio non segue infatti meccanismi logici e statistici ma è estremamente instabile, governata principalmente da variabili emotive personali e legate alle nostre esperienze soggettive.
L’Ebola, la Sars, l’Aviaria, la Suina, ma anche guerre, carestie, cancro, incidente stradale, arresto cardiaco…tutti questi eventi, pur essendo più pericolosi, pur causando più vittime, pur essendo più presenti nella vita dell’uomo, vengono percepiti come “lontani” dalla nostra quotidianità, proprio perché attualmente siamo investiti da una miriade di informazioni riguardanti unicamente il Coronavirus, informazioni recenti, continue e martellanti. La minaccia di un contagio quindi è percepita come “più vicina” (Euristica della Disponibilità).
Ognuno di noi poi ha un’idea specifica e stereotipica dell’epidemia, magari ricavata dalla propria personale esperienza, da qualche film apocalittico o da qualche serie TV: assalto ai supermercati, strade deserte, morti e stragi, difficoltà di sopravvivenza. Paragoniamo quindi questa nostra personale rappresentazione stereotipica alla realtà, valutando però unicamente i punti in comune (le messe in quarantena, i morti ecc) piuttosto che le differenze. Questo scenario distorto rimane ben fisso nella nostra mente, nonostante le informazioni con cui entriamo in contatto sconfessino tali credenze. Anzi, spesso prendiamo in considerazione unicamente le informazioni che consolidano la nostra visione (Euristica della Rappresentatività e dell’Ancoraggio).
QUINDI?
Quindi la verità sta sempre nel mezzo: è giusto essere in pensiero, è giusta l’apprensione com’è giusto prendere tutte le precauzioni in maniera meticolosa e scrupolosa. Ma è sbagliato cadere nell’isteria di massa, altrimenti (e questa è una provocazione voluta) si rischia di finire come i danzatori di Strasburgo, vittime proprio di un’isteria di massa che portò molti di loro alla morte (evento di cui parlerò prossimamente).
L’importante in questi casi è:
mettere sempre in discussione ogni informazione, rapportarla con più fonti diversificate e col parere degli esperti;
razionalizzare le proprie emozioni e le proprie paure, confrontandole con le informazioni reali precedentemente raccolte;
non cedere alla paura: avere paura è più rapido, più facile, persino più seducente (come direbbe il maestro Yoda sul lato oscuro) rispetto all’analisi razionale degli eventi, che invece è più lenta e dispendiosa;
concettualizzare l’insensatezza della paura, poiché non è certo con la paura che si sconfiggono i mali.