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Le canzoni in 8D: facciamo i seri.

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#LILIPSY by Fabrizio Di Girolamo

Le canzoni in 8D: facciamo i seri.

Come le pseudoscienze si trasformano in moda.

In questi mesi, sul web è nata la moda delle cosiddette canzoni #8D, ovvero canzoni che, se ascoltate con le cuffie, permettono di sentire il suono provenire da direzioni diverse, favorendo un ascolto immersivo e una diversa esperienza sensoriale.

La moda, iniziata su whatsapp e proseguita su tutti i social, deriverebbe dal fatto che queste canzoni “arriverebbero direttamente al cervello” o per meglio dire “coinvolgerebbero determinati circuiti cerebrali“, oppure “stimolano il cervello” e altre frasi altisonanti.

La realtà, ovviamente, è ben diversa.

IL CERVELLO

Prima di tutto: dire che quando ascoltiamo la musica #8D utilizziamo il cervello è vero, ma è fuorviante. In generale infatti, quando ascoltiamo qualsiasi suono, utilizziamo sempre il nostro cervello. Le orecchie recepiscono le onde sonore, ma è il cervello che le elabora. Quindi, se su YouTube vi imbattere in un video dal titolo “stimola il tuo cervello con la musica #8D, beh, non guardatelo.

Questi effetti sonori sono conosciuti ed utilizzati già da parecchio tempo, e non hanno nulla di particolare: non coinvolgono nessun circuito cerebrale strambo, non hanno effetti benefici sul cervello. Si tratta semplicemente di “spostare” l’origine del suono da un punto all’altro, in modo che il nostro cervello “fatichi” a percepire la fonte del suono, creando questa esperienza sensoriale particolare.

PERCHÉ?

C’è un motivo se abbiamo un orecchio a destra e uno a sinistra, e c’è un motivo se le nostre orecchie hanno questa forma: sono organizzate per percepire suoni all’interno di un ambiente complesso (e principalmente da davanti).

Captando l’intensità delle onde sonore ed elaborandole, in nostro cervello definisce l’origine del suono: se il suono viene alla nostra destra, il nostro orecchio destro percepirà un suono più forte di quello sinistro. Quindi il nostro cervello elaborerà questa informazione permettendoci di capire che il suono viene alla nostra destra.

Lo stesso principio avviene per la distanza: più un suono è forte, più il nostro cervello lo reputa vicino, e viceversa. Tipicamente utilizziamo queste abilità quando ascoltiamo il rumore di un oggetto in movimento. Ecco, le canzoni a #8D giocano su questa caratteristica percettiva, “confondendo” il nostro cervello, che in realtà ascolta un suono statico proveniente da un unica fonte.

COSA ACCADE

Quello che succede è che percepiamo un suono diverso, quasi “esterno”. Molti lo descrivono come un suono “che arriva da fuori, non dalle cuffie“. Questo proprio perché si simula un ambiente complesso in cui le fonti sonore (o l’ascoltatore) si muovono.

Poi (senza entrare troppo nel merito non essendo un tecnico del suono), in queste canzoni si agisce anche sull’equalizzazione, sulla stereofonia e sul riverbero, ingannando ulteriormente il cervello, non solo a distinguere “la direzione” del suono (destra, sinistra, avanti, dietro, sopra, sotto) ma anche la “distanza” del suono (suoni bassi e cupi vs. suoni alti, chiari e con poco riverbero).

LA MODA

La quarantena da coronavirus di queste settimane (di cui ho parlato qui) fa si che questa tipologia di contenuti virali (scusate il gioco di parole voluto) si propaghi a macchia d’olio, sfruttando delle leggende psicologiche infondate (come quella secondo la quale sfruttiamo il 10% del nostro cervello, ci hanno fatto pure i film).

PER CONCLUDERE

In definitiva consiglio a tutti di provare l’esperienza, perché non fa male, non danneggia nessuno e può rivelarsi persino piacevole. L’importante è avere consapevolezza e conoscenza di quello che si fa, per evitare di spendere ore ascoltando la musica #8D pensando di poter diventare più intelligenti, più rilassati o più “qualcosa”. Questi effetti “soggettivi“, come ad esempio quel senso di rilassatezza descritto da molti ascoltatori di musica #8D, sono solo autosuggestioni, che possono avvenire anche con canzoni normali e con il giusto stato d’animo.

Godiamoci le nostre esperienze sensoriali soggettive prendendole per quello che sono, ovvero delle esperienze uniche, senza bisogno di coinvolgere il cervello, la scienza o la fisica quantistica.

 

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