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Potremo davvero tornare alla Normalità?

anonymous girlfriends dancing against sunset sky

#LILIPSY by Fabrizio Di Girolamo

Potremo davvero tornare alla Normalità?

Il Coronavirus ha modificato profondamente le nostre abitudini e il nostro vivere quotidiano, e continuerà a farlo. Ha senso quindi parlare di "ritorno alla normalità"?

La normalità è qualcosa di estremamente importante per noi: è quella condizione familiare, ben conosciuta, che ci trasmette sicurezza e serenità. Il punto di partenza dal quale sviluppiamo le nostre ambizioni e i nostri desideri.

Ma quando parliamo di normalità, sappiamo davvero a cosa ci riferiamo?

Volere un “ritorno alla normalità” dopo la crisi portata dal Coronavirus è possibile? Ma soprattutto, è giusto parlare di “ritorno” ad una condizione precedente?

 

IL CONCETTO

Partiamo col concetto di normalità: secondo la definizione del vocabolario Treccani, la normalità è ” quel carattere, condizione di ciò che è o si ritiene normale, cioè regolare e consueto, non eccezionale o casuale, con riferimento sia al modo di vivere, di agire, o allo stato di salute fisica o psichica, di un individuo, sia a manifestazioni e avvenimenti del mondo fisico, sia a situazioni (politiche, sociali, ecc.) più generali”.

 

La prima cosa che possiamo notare nella è la fumosità della definizione, partendo dagli opposti; cosa è anormale, inconsueto, eccezionale, irregolare? Beh, ovviamente è tutto soggettivo!

L’esperienza personale e la soggettività sono due pilastri della normalità: qualcosa che può essere normale per qualcuno, per qualcun’altro può essere un evento irripetibile (e fin qui abbiamo scoperto l’acqua calda).

Non a caso, la definizione psicologica di normalità prende spunto da questi aspetti: un singolo soggetto percepirà un evento parte della normalità se questo stesso evento è ripetuto nel tempo, fa parte della routine quotidiana, non esce fuori dagli schemi di regolarità a cui esso è abituato, data la sua esperienza personale di vita.

 

Questa fumosa eterogeneità concettuale è importantissima, perché determina una diversa interpretazione di normalità in base al contesto, soprattutto in quei casi che coinvolgono intere comunità (o addirittura l’intero pianeta, come ad esempio il coronavirus).

Non è infatti solo la variabile soggettiva quella importante: un’altra variabile da considerare è quella socio-culturale/storica.

Basti pensare alle popolazioni indigene che vedono la tecnologia come qualcosa di inconcepibile e di inconoscibile, mentre per la società moderna usare un tablet e fare videochiamate con persone che si trovano a migliaia di km di distanza è ormai consuetudine.

Oppure basti pensare alla mucca vista come animale sacro nell’Induismo, mentre per la società occidentale è un semplice animale da allevamento.

Se analizziamo la cosa anche trasversalmente, possiamo notare come nella storia dell’uomo la società abbia subito tantissimi cambiamenti, e con essa è cambiato anche il concetto di normalità.

Ad esempio, la pederastia (ovvero il rapporto erotico tra un maestro e il suo allievo) nell’antica Grecia era una consuetudine, un rito iniziatico di passaggio addirittura regolato da norme e convenzioni.

La stessa pratica, trasportata ai nostri tempi, sarebbe patologica, inconcepibile e “anormale”.

Oppure potrei citare la Legge del Taglione, una legge antica che perdurò fino ai tempi della dominazione germanica medievale, secondo la quale chi subiva un danno aveva il diritto di arrecare un danno di pari valore: anche questa pratica legislativa, ai giorni nostri, sarebbe impensabile.

E potrei citare centinaia (se non migliaia) di esempi che dimostrano di come la definizione di “normale” sia in realtà relativa, dipendente dal contesto, che cambia da individuo ad individuo, da società a società, da cultura a cultura.

 

LA NORMALITÀ DURANTE IL COVID-19

Il distanziamento sociale, l’impossibilità di toccare l’altro, l’utilizzo delle mascherine, la quarantena forzata, l’impossibilità di viaggiare o di lavorare, la didattica a distanza e lo smart working; ma anche la riscoperta delle cose fatte in casa, del bricolage, del tempo libero, dei giochi da tavolo, di quei libri e quelle serie TV che non avevi mai tempo di vedere. Tutte queste sono solo alcune delle cose che, nel bene o nel male, il Coronavirus ha portato con sé e che hanno modificato le nostre abitudini.

 

Ci ritroviamo però a pensare, in maniera molto schematica, ad un mondo pre- coronavirus, considerandolo come “normale” (potevi uscire, potevi abbracciare, potevi viaggiare ecc) e un mondo post- coronavirus: un mondo brutto, che non ci piace, dal quale vogliamo fuggire tornando, appunto, alla “normalità” precedente.

In realtà il Coronavirus fa parte della natura entropica dell’universo: un continuo disordine in perenne mutamento. Esiste infatti la tendenza psicologica a semplificare la realtà, dandole un ordine interpretativo, strutturandola, condensandola e schematizzandola: giusto o sbagliato, bello o brutto, bene e male, normale e anormale.

 

Consideriamo la normalità quello stato stabile e ben definito di quotidianità che perdura per un periodo di tempo abbastanza ampio etichettato dal nostro sistema cognitivo come tale.

In realtà, se ci pensiamo bene, la nostra vita (e penso che chi sta leggendo possa confermare che vale anche per lui/lei) è un flusso di continui cambiamenti.

 

Del resto, il cambiamento fa parte di noi: la normalità di adesso è diversa dalla normalità che abbiamo da piccoli, da adolescenti o da anziani.

Per non parlare di tutti i cambiamenti situazionali, relazionali, lavorativi, interpersonali a cui andiamo incontro nell’arco della nostra esistenza (nuovi amori, divorzi, nuovo lavoro, nascita di un figlio, e chi più ne ha più ne metta).

Molte volte però non accettiamo il cambiamento, né lo vorremmo, perché ci porta verso ciò che non conosciamo, ci strappa dalle nostre sicurezze e ci porta ad avere paura di ciò che è ignoto.

 
 

LA NORMALITÀ NEI RAPPORTI UMANI

Un discorso a parte, più specifico, va fatto sui rapporti interpersonali e le relazioni: se c’è qualcosa che la pandemia ha stravolto totalmente è proprio l’interazione tra individui.

L’aggregazione (sinonimo di comunità, di festa, di vicinanza) è assolutamente vietata.

Le distanze interpersonali di almeno 2 metri evitano qualsiasi possibilità di contatto fisico.

Le mascherine riducono notevolmente l’espressività dei volti.

Soprattutto in un paese come l’Italia, che fa della convivialità e della condivisione un vero e proprio archetipo riconosciuto in tutto il mondo, queste restrizioni si sono fatte sentire.

Quindi è corretto, in questo caso, parlare di ritorno alla normalità, inteso come ritorno all’interazione senza vincoli?

Beh, se parliamo di interazione fisica, sì.

Poiché la maggior parte delle nostre interazioni sociali è universale e geneticamente predeterminata. Azioni come la stretta di mano, i baci, gli abbracci, le carezze, fino ad arrivare al sesso: sono tutte azioni scolpite nel nostro DNA. Azioni che, non a caso, condividiamo con altri primati, e che fanno parte della nostra natura.

Da questo punto di vista sarebbe quindi più corretto parlare di “ritorno alla naturalezza” piuttosto che di “ritorno alla normalità“.

Il discorso cambia se parliamo di interazione in senso puramente sentimentale/emotivo: anche in questo caso intervengono variabili personali, sociali e culturali.

 
 

CONCLUSIONE: L’ADATTAMENTO E INESISTENZA DELLA NORMALITÀ

Insomma, dato l’insieme di tutte queste premesse, possiamo tranquillamente sostenere che, in realtà, la normalità non esiste.

Si tratta di un puro costrutto mentale che ci è utile a definire il cambiamento rispetto ad un iniziale status quo.

 

Ecco perché non ha senso parlare di “ritorno alla normalità” quando finirà la pandemia, perché la “normalità” non è stata mai raggiunta, è solo un ideale. Sarebbe come cercare di separare il tuorlo e l’albume dell’uovo dopo aver fatto una frittata; ovvero, è impossibile tornare indietro.

Stiamo assistendo ad un evento storico che stravolgerà le nostre vite e le cui conseguenze rimarranno scolpite nella nostra società, nel bene e nel male. Quello che possiamo fare noi è accettare i cambiamenti, accettare la paura dell’incontro con ciò che è ignoto, le modifiche delle nostre abitudini, lo stravolgimento della nostra vita.

Interviene infatti un’altra capacità universale che ci ha permesso di sopravvivere fino ad oggi: la capacità di Adattamento. In base al contesto, adattiamo i nostri comportamenti e le nostre azioni, riuscendo a rispondere all’ambiente in maniera funzionale. È proprio l’Adattamento ad una determinata condizione/situazione che ce la fa percepire, a lungo andare, come “normale“.

Ma l’Adattamento non esisterebbe (né nell’uomo, né nell’animale), se non vivessimo in un universo in continua evoluzione: tutto ciò fa parte dell‘inconsistenza della vita, perché niente resta mai com’è, e pretendere che non sia così è solo deleterio ed auto-distruttivo.

 

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